Sarà presentato Lunedi 10 ottobre, alle ore 18,30 alla libreria Palmieri (Lecce) il nuovo libro di Diego Dantes: Parole per un futuro possibile. Con l'autore dialogheranno Ivan Stomeo che ha firmato l'introduzione e Gianni Ferraris.
“Le parole sono
importanti” (Nanni Moretti)
“…Alla fine degli
anni ’50 Giovanni Sartori insisteva sulla necessità di una conoscenza critica e
non casuale della parola Democrazia…. “viviamo nell’età della confusione
democratica, nell’indefinito, manipolando e sentenziando su una democrazia che
non sappiamo più bene cosa sia…” “… Libertà è una parola difficile da
maneggiare… Maurizio Viroli ha messo in evidenza come la libertà dei cittadini,
a differenza della libertà dei sudditi, non sia una libertà dalle leggi, ma una
libertà grazie ed in virtù delle leggi…. Se in uno Stato c’è un cittadino più
forte delle leggi non esiste la libertà dei cittadini, tutt’alpiù quella dei
sudditi…” (Gianrico Carofiglio – La manomissione delle parole)
La lettura del “manuale” di Diego Dantes mi ha riportato
alla memoria le due citazioni scritte sopra. La lingua italiana è un meccanismo
complesso ma perfetto, occorre però utilizzarlo con cautela, cura, amore.
Deformare il linguaggio sembra un esercizio praticato in
politica almeno quanto il calcio nei campetti di periferia, plasmarlo non già
per l’ intrinseco dire delle parole, piuttosto al servizio di chi parla e cita
in quel preciso momento, fino all’evidenza di volerne negare la comprensione,
sembra prassi consolidata.
Così come si stupiranno i politici attuali, però esistono
nella lingua italiana vocaboli anche per definire concetti astrusi quali “jobs
act”, “stepchild adoption” financo, stupite stupite “fertility day”.
Scherzare dell’utilizzo “governativo” della lingua
inglese per definire concetti altrimenti trasmissibili, viene spontaneo,
tuttavia ragionandoci con più cautela, tutto diventa più complesso. Sembra
quasi che questi termini vogliano escludere una parte della popolazione dalle
cose del governo, l’ottusa supponenza di chi le conia e le divulga (complici molti
giornalisti) ricorda, anzichè un governante serio che si rivolge al suo
elettore (anche a quello che non conosce l’inglese), l’Alberto Sordi che dice
ai poveracci che elemosinavano un pezzo di pane: “io so’ io e voi non siete un
cazzo”.
Ma veniamo al libro di Dantes, cito dalla prefazione di Ivan Stomeo:
“…Il libro descrive uno spaccato reale della Politica
italiana: una Politica chiusa in sè stessa, implosa per certi versi, in linea
con una società "viziata", che non si riconosce più nel modello di Politica
tradizionale. Democrazia partecipata, il tema chiave del libro, che permette
alla Politica di uscire dalla chiusura, di smettere di essere autoreferenziale
e di invertire la tendenza ponendo al centro, dello sviluppo di un paese la
persona, il cittadino”...
Per fare questo bisogna ripensare al ruolo dei
partiti ad oggi, al ruolo stesso della politica.
Per parlarne, l’autore parte dal voler riprendere
in mano l‘utilizzo di alcune parole nel loro significato più concreto, solo quattro
in realtà, che tuttavia racchiudono l’universo dei concetti stessi di Democrazia,
pluralità, consapevolezza.
Beni Comuni, Democrazia partecipativa, Integrazione,
Alternativa.
Sono questi i termini che aprono i quattro capitoli, concetti concreti,
reali, che purtuttavia vengono spesso violentati, ammaestrati.
Il bene comune come oggetto non già di lucro, piuttosto di consapevole
utilizzo. L’acqua su tutti, però potremmo parlare dell’intera vita sociale, del
collettivo. Abbiamo visto nascere liste chiamate “bene comune” in moltissime
parti, abbiamo creduto, caparbiamente, che questo significasse condivisione e
decisioni collettive (Democrazia partecipativa, appunto) ed abbiamo visto la
politica involversi troppo spesso e non dare seguito alla sfida. In nome e per
conto di chi vuole governare dall’alto questi beni che dovrebbero, devono essere
di tutti.
Diego Dantes |
Sul capitolo della Democrazia partecipativa, vorrei soffermarmi brevemente
su una frase che probabilmente è il nucleo di tutto il ragionamento:
“…D’altronde
la politica esiste, a mio giudizio, se diventa un mezzo per diffondere
consapevolezza, se fa crescere capacità diffuse di autogoverno, valorizzando le
autonomie locali, le piccole comunità di cui questo Paese è soprattutto
costituito. La politica esiste, per me, se fa emergere le tante potenzialità
esistenti sul territorio, se fa emergere l’entusiasmo di chi crede in percorsi
collettivi. Se, invece, la politica abdica banalmente al proprio compito, limitandosi
a risolvere i problemi dell’oggi, allora si è costretti e recintati da un
continuo stato di eccezioni….”
Quindi, ri/fondare la politica come cosa di tutti, nell’imbarbarimento che
ha caretterizzato gli ultimi decenni in cui sempre più questa si è scollata dal
cittadino. Mai elettori ed eletti sono stati distanti come oggi. Le cadute
delle ideologie hanno portato, purtroppo, a liberarsi dell’acqua sporca e del
bambino, i momenti pubblici e collettivi, esempio emblematico le “case del
Popolo”, le sezioni dei partiti, il PCI sopra tutti, diffuse in ogni quartiere,
in ogni paese, sono state chiuse e i “dirigenti” autoreferenziali si sono arroccati
in castelli inespugnabili ed inavvicinabili. Gli esiti di questi comportamenti
sono sotto gli occhi di tutti noi, si chiamano populismo, reazione, rinascita
di movimenti che poco o nulla hanno a che vedere con il concetto di
partecipazione e di democrazia. Addirittura gli eletti sono, ahinoi, nominati
da una casta di pochi e l’elettore deve solo ratificare scelte altrui. E qui si
dovrebbe parlare di riforme (deforme?) elettorali, ma lo spazio è breve. E
forse rileggere i classici potrebbe aiutare a comprendere meglio. Scriveva Jean
Jacques Rousseau ne Il contratto sociale: …Qualunque
legge che non sia stata ratificata dal popolo in persona è nulla, non è una
legge…”
Nel capitolo “Accoglienza” non poteva, Diego,
fermarsi all’immigrazione attuale che ben conosciamo, ma è partito dal ricordo
della nostra emigrazione oltre oceano e oltre frontiera. Allora come oggi la
domanda sul perché migliaia di esseri umani oggi affrontano viaggi che spesso
sono di morte per cercare vita altrove è essenziale per comprendere. Come
necessario è capire come mai una politica xenofoba, razzista, che eleva muri
nella sedicente democratica Europa accoglie gli slanci razzisti di parte della
popolazione, quasi accettando supinamente l’assioma che “la crisi è colpa loro…
il lavoro lo portano via loro” e via dicendo che si sostiuscono alla necessità
politica, ma soprattutto etica, di accogliere, ma sosprattutto di comprendere
come questo capitalismo globalizzato sia il vero dramma sociale. Chi ha molto
soffia sulle braci per creare guerre fra poveri che sono il brodo di cottura
dei movimentio xenofobi. Non a caso Lega Nord e Casa Pound arrivano a fondersi
e confondersi. E le sinistre, al di là di qualche recriminazione, paiono
scollate, inadeguate ad accettare la sfida.
E ragionando si arriva alla parola “liberatrice”: Alternativa. Esistono
alternative, la politica dovrebbe elevarle a meta finale.
L’ottimismo di Diego è invidiabile per chi è rassegnato ad una deriva senza
apparenti vie d’uscita. Scrive infatti:
“…Dalla crisi politica se ne esce in maniera collettiva, con iniziative
rispettose della libertà personale ma insieme altrimenti non ne esce nessuno.
Spingere in avanti l’orizzonte ed avere il coraggio di avviare un corso
politico di rinnovamento, alternativo all’esistente. L’obbiettivo, da tenere
fortemente saldo, è quello di creare una forza che non sia residuale ma che
miri al governo dei processi, un soggetto che sappia gestire il potere perché
esso produca cambiamento. D’altronde che senso ha la sinistra se non generare
cambiamento? Le sfide reali sono molteplici ed alcune, probabilmente, ci
costringeranno a far i conti con l’idea primaria delle radici,
di quali ideali
intendiamo preservare declinandoli nella contemporaneità. Ed è per questo che
si devono costruire processi culturali con scadenze necessariamente lunghe,
senza farsi affogare dalle tornate elettorali che sono comunque importanti. E
bisogna essere realmente alternativi a certe dinamiche, non solo nelle
intenzioni ma nelle pratiche politiche. Su questo bisogna avere pazienza.
Molta, a quanto pare.”…
Per essere un ragazzo che non ha conosciuto i movimenti del ’68, che dei
muri ricorda solo la caduta, che della politica ha praticato il “post”, che è
cresciuto nel buio ventennio berlusconiano, Diego rappresenta, tutto sommato,
una speranza. E la citazione che fa di Don Tonino Bello cade a pennello: «La speranza
è impegno robusto
che non ha nulla da
spartire con la fuga. Chi spera, cammina, non fugge. Si incarna nella storia,
non si aliena.Costruisce il futuro, non lo attende con pigrizia.»
Diego Dantes –
Parole per un futuro possibile – QdB editore (Quaderni del Bardo) – 2016 € 7.00
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