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sabato 8 ottobre 2016

Parole per un futuro possibile. Il nuovo libro di Diego Dantes


Sarà presentato Lunedi 10 ottobre, alle ore 18,30 alla libreria Palmieri (Lecce)  il nuovo libro di Diego Dantes: Parole per un futuro possibile. Con l'autore dialogheranno Ivan Stomeo che ha firmato l'introduzione e Gianni Ferraris. 






“Le parole sono importanti” (Nanni Moretti)

“…Alla fine degli anni ’50 Giovanni Sartori insisteva sulla necessità di una conoscenza critica e non casuale della parola Democrazia…. “viviamo nell’età della confusione democratica, nell’indefinito, manipolando e sentenziando su una democrazia che non sappiamo più bene cosa sia…” “… Libertà è una parola difficile da maneggiare… Maurizio Viroli ha messo in evidenza come la libertà dei cittadini, a differenza della libertà dei sudditi, non sia una libertà dalle leggi, ma una libertà grazie ed in virtù delle leggi…. Se in uno Stato c’è un cittadino più forte delle leggi non esiste la libertà dei cittadini, tutt’alpiù quella dei sudditi…” (Gianrico Carofiglio – La manomissione delle parole)

La lettura del “manuale” di Diego Dantes mi ha riportato alla memoria le due citazioni scritte sopra. La lingua italiana è un meccanismo complesso ma perfetto, occorre però utilizzarlo con cautela, cura, amore.
Deformare il linguaggio sembra un esercizio praticato in politica almeno quanto il calcio nei campetti di periferia, plasmarlo non già per l’ intrinseco dire delle parole, piuttosto al servizio di chi parla e cita in quel preciso momento, fino all’evidenza di volerne negare la comprensione, sembra prassi consolidata.
Così come si stupiranno i politici attuali, però esistono nella lingua italiana vocaboli anche per definire concetti astrusi quali “jobs act”, “stepchild adoption” financo, stupite stupite “fertility day”.
Scherzare dell’utilizzo “governativo” della lingua inglese per definire concetti altrimenti trasmissibili, viene spontaneo, tuttavia ragionandoci con più cautela, tutto diventa più complesso. Sembra quasi che questi termini vogliano escludere una parte della popolazione dalle cose del governo, l’ottusa supponenza di chi le conia e le divulga (complici molti giornalisti) ricorda, anzichè un governante serio che si rivolge al suo elettore (anche a quello che non conosce l’inglese), l’Alberto Sordi che dice ai poveracci che elemosinavano un pezzo di pane: “io so’ io e voi non siete un cazzo”.
Ma veniamo al libro di Dantes, cito dalla prefazione di Ivan Stomeo:
“…Il libro descrive uno spaccato reale della Politica italiana: una Politica chiusa in sè stessa, implosa per certi versi, in linea con una società "viziata", che non si riconosce più nel modello di Politica tradizionale. Democrazia partecipata, il tema chiave del libro, che permette alla Politica di uscire dalla chiusura, di smettere di essere autoreferenziale e di invertire la tendenza ponendo al centro, dello sviluppo di un paese la persona, il cittadino”...
Per fare questo bisogna ripensare al ruolo dei partiti ad oggi, al ruolo stesso della politica.
Per parlarne, l’autore parte dal voler riprendere in mano l‘utilizzo di alcune parole nel loro significato più concreto, solo quattro in realtà, che tuttavia racchiudono l’universo dei concetti stessi di Democrazia, pluralità, consapevolezza.
Beni Comuni, Democrazia partecipativa, Integrazione, Alternativa.
Sono questi i termini che aprono i quattro capitoli, concetti concreti, reali, che purtuttavia vengono spesso violentati, ammaestrati.
Il bene comune come oggetto non già di lucro, piuttosto di consapevole utilizzo. L’acqua su tutti, però potremmo parlare dell’intera vita sociale, del collettivo. Abbiamo visto nascere liste chiamate “bene comune” in moltissime parti, abbiamo creduto, caparbiamente, che questo significasse condivisione e decisioni collettive (Democrazia partecipativa, appunto) ed abbiamo visto la politica involversi troppo spesso e non dare seguito alla sfida. In nome e per conto di chi vuole governare dall’alto questi beni che dovrebbero, devono essere di tutti.
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Diego Dantes
Scrive Diego: “…Molti beni, definibili all’interno dei “beni comuni”, non possono essere catalogati facilmente all’interno della dualità pubblico/privato, sono e devono essere liberati dalle tradizionali logiche economiche perché caratterizzano l'organizzazione sociale, sono necessari per rendere tangibili i diritti fondamentali delle persone…”
Sul capitolo della Democrazia partecipativa, vorrei soffermarmi brevemente su una frase che probabilmente è il nucleo di tutto il ragionamento:
 “…D’altronde la politica esiste, a mio giudizio, se diventa un mezzo per diffondere consapevolezza, se fa crescere capacità diffuse di autogoverno, valorizzando le autonomie locali, le piccole comunità di cui questo Paese è soprattutto costituito. La politica esiste, per me, se fa emergere le tante potenzialità esistenti sul territorio, se fa emergere l’entusiasmo di chi crede in percorsi collettivi. Se, invece, la politica abdica banalmente al proprio compito, limitandosi a risolvere i problemi dell’oggi, allora si è costretti e recintati da un continuo stato di eccezioni….”
Quindi, ri/fondare la politica come cosa di tutti, nell’imbarbarimento che ha caretterizzato gli ultimi decenni in cui sempre più questa si è scollata dal cittadino. Mai elettori ed eletti sono stati distanti come oggi. Le cadute delle ideologie hanno portato, purtroppo, a liberarsi dell’acqua sporca e del bambino, i momenti pubblici e collettivi, esempio emblematico le “case del Popolo”, le sezioni dei partiti, il PCI sopra tutti, diffuse in ogni quartiere, in ogni paese, sono state chiuse e i “dirigenti” autoreferenziali si sono arroccati in castelli inespugnabili ed inavvicinabili. Gli esiti di questi comportamenti sono sotto gli occhi di tutti noi, si chiamano populismo, reazione, rinascita di movimenti che poco o nulla hanno a che vedere con il concetto di partecipazione e di democrazia. Addirittura gli eletti sono, ahinoi, nominati da una casta di pochi e l’elettore deve solo ratificare scelte altrui. E qui si dovrebbe parlare di riforme (deforme?) elettorali, ma lo spazio è breve. E forse rileggere i classici potrebbe aiutare a comprendere meglio. Scriveva Jean Jacques Rousseau ne Il contratto sociale: …Qualunque legge che non sia stata ratificata dal popolo in persona è nulla, non è una legge…”
Nel capitolo “Accoglienza” non poteva, Diego, fermarsi all’immigrazione attuale che ben conosciamo, ma è partito dal ricordo della nostra emigrazione oltre oceano e oltre frontiera. Allora come oggi la domanda sul perché migliaia di esseri umani oggi affrontano viaggi che spesso sono di morte per cercare vita altrove è essenziale per comprendere. Come necessario è capire come mai una politica xenofoba, razzista, che eleva muri nella sedicente democratica Europa accoglie gli slanci razzisti di parte della popolazione, quasi accettando supinamente l’assioma che “la crisi è colpa loro… il lavoro lo portano via loro” e via dicendo che si sostiuscono alla necessità politica, ma soprattutto etica, di accogliere, ma sosprattutto di comprendere come questo capitalismo globalizzato sia il vero dramma sociale. Chi ha molto soffia sulle braci per creare guerre fra poveri che sono il brodo di cottura dei movimentio xenofobi. Non a caso Lega Nord e Casa Pound arrivano a fondersi e confondersi. E le sinistre, al di là di qualche recriminazione, paiono scollate, inadeguate ad accettare la sfida.  
E ragionando si arriva alla parola “liberatrice”: Alternativa. Esistono alternative, la politica dovrebbe elevarle a meta finale.
L’ottimismo di Diego è invidiabile per chi è rassegnato ad una deriva senza apparenti vie d’uscita. Scrive infatti: “…Dalla crisi politica se ne esce in maniera collettiva, con iniziative rispettose della libertà personale ma insieme altrimenti non ne esce nessuno. Spingere in avanti l’orizzonte ed avere il coraggio di avviare un corso politico di rinnovamento, alternativo all’esistente. L’obbiettivo, da tenere fortemente saldo, è quello di creare una forza che non sia residuale ma che miri al governo dei processi, un soggetto che sappia gestire il potere perché esso produca cambiamento. D’altronde che senso ha la sinistra se non generare cambiamento? Le sfide reali sono molteplici ed alcune, probabilmente, ci costringeranno a far i conti con l’idea primaria delle radici,
di quali ideali intendiamo preservare declinandoli nella contemporaneità. Ed è per questo che si devono costruire processi culturali con scadenze necessariamente lunghe, senza farsi affogare dalle tornate elettorali che sono comunque importanti. E bisogna essere realmente alternativi a certe dinamiche, non solo nelle intenzioni ma nelle pratiche politiche. Su questo bisogna avere pazienza. Molta, a quanto pare.”
Per essere un ragazzo che non ha conosciuto i movimenti del ’68, che dei muri ricorda solo la caduta, che della politica ha praticato il “post”, che è cresciuto nel buio ventennio berlusconiano, Diego rappresenta, tutto sommato, una speranza. E la citazione che fa di Don Tonino Bello cade a pennello:  «La speranza è impegno robusto
che non ha nulla da spartire con la fuga. Chi spera, cammina, non fugge. Si incarna nella storia, non si aliena.Costruisce il futuro, non lo attende con pigrizia.»



Diego Dantes – Parole per un futuro possibile – QdB editore (Quaderni del Bardo) – 2016 € 7.00

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