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venerdì 30 giugno 2017

Relazione DNA sulla Sacra Corona Unita (Articolo di Antonio Nicola Pezzuto)

Un articolo del mio amico Antonio Nicola Pezzuto sulla situazione attuale della SCU, dalla relazione della DNA 2016, pubblicata su Antimafia 2000.


Relazione Dna sulla Sacra Corona Unita


di Antonio Nicola Pezzuto

La relazione della Direzione Nazionale Antimafia 2016 sulla situazione della Sacra Corona Unita si apre con una puntualizzazione che mira a sgombrare il campo da equivoci e da pericoli di sottovalutazione. Scrivono, infatti, i Magistrati dell’Antimafia: "Un esame approfondito merita la valutazione effettuata da alcuni analisti circa il fatto che la Sacra Corona Unita sarebbe non più operativa, anzi scomparsa dal territorio salentino. Le attività di indagine in corso, sia con riguardo alla provincia di Brindisi che a quella di Lecce testimoniano di una perdurante, e per certi versi rinnovata, vitalità dell’associazione mafiosa Sacra Corona Unita, da tempo insediata in questi territori. Tutte le principali attività criminali delle due province, infatti, benché talora possano apparire autonome ed indipendenti da logiche mafiose, ad uno sguardo più approfondito risultano fare riferimento all’associazione mafiosa, cui comunque deve essere dato conto".
Chiaro, duro e perentorio il giudizio dei Magistrati in merito ad alcune analisi: "Si dovrebbe viceversa osservare che la diffusione di siffatta opinione induce a ritenerla ascrivibile ad un’unica regia, evidentemente interessata ad accreditarla. Invero, se è indubbio che nel corso degli anni l’associazione mafiosa abbia subito notevoli modifiche strutturali anche per “difendersi” dalle iniziative di contrasto di magistratura e polizia, è altrettanto vero che non ha affatto cessato di esistere né di curare le proprie attività criminali, sia pure in forme meno eclatanti e quindi meno allarmanti per l’ordine pubblico. È proseguita, così, a decorrere dalla metà degli anni duemila, una strategia “difensiva” connessa alle condizioni di operatività dei clan, mutate per effetto dell’inabissamento delle attività criminali, prospettate, da chi ne aveva interesse, come indicative della scomparsa dell’associazione. L’associazione mafiosa ha avuto cura di evitare qualsiasi attività criminale che potesse suscitare allarme sociale, facendo cessare o ridurre fortemente tutte le manifestazioni di maggiore clamore che rivelassero situazioni di conflitto tra gruppi criminali ovvero l’intenzione dell’associazione di porsi in aperto contrasto con la forza dello Stato, tendendo, scientemente, di acquisire il massimo consenso sociale".
Una Sacra Corona Unita, quindi, viva e vegeta, pronta a cambiare struttura e pelle, ad inabissarsi per fare affari senza attirare l’attenzione delle forze di polizia, tesa alla conquista del massimo consenso sociale.
Nel settore delle estorsioni, che rappresenta una delle attività principali dell’associazione mafiosa, si evitano atti intimidatori violenti come l’esplosione di ordigni. La fama e lo spessore criminale acquisiti, consentono agli esponenti della SCU di raggiungere lo stesso effetto intimidatorio con atti privi di clamore, come danneggiare con i collanti le serrature degli ingressi di un esercizio commerciale. Questo significa che la forza intimidatrice dell’associazione è inversamente proporzionale alla necessità di esibirla. 
Sono le stesse vittime (imprenditori, commercianti o professionisti) che, autonomamente, senza aver subito alcuna minaccia, si rivolgono all’esponente locale dell’associazione mafiosa per ottenere protezione, offrendo il pagamento del “pizzo” o l’omaggio di oggetti di pregio della propria azienda (per esempio orologi e gioielli, capi e accessori di abbigliamento, telefoni cellulari di ultima generazione e materiale informatico, autoveicoli e moto, ecc.) e assumendo anche personale con compiti di guardiania. In assenza di minacce diventa difficile ipotizzare la stessa configurabilità del delitto di estorsione.
La Sacra Corona Unita, negli ultimi anni, ha accuratamente evitato il ricorso alla violenza per risolvere i conflitti interni tra gli associati. Questo a differenza di quanto accaduto in passato quando erano numerosi gli omicidi tra i sodali. Una scelta ben precisa dettata dalla preoccupazione che il clamore provocato da fatti eclatanti possa danneggiare gli interessi della stessa associazione, “non solo attirando l’attenzione delle forze di polizia e generando allarme nell’opinione pubblica, ma provocando l’intensificarsi dei controlli e delle attività di contrasto sul territorio che rendono più incerto l’andamento delle attività criminali”. 
C’è da aggiungere che “le eventuali lotte intestine o gli scontri di potere finiscono per provocare risentimenti, rancori e vendette che puntualmente, come dimostra la storia dell’associazione, creano le condizioni che inducono a collaborare con la giustizia coloro che si sentano perdenti nei rapporti di forza interni all’organizzazione mafiosa; ovvero temano per la propria incolumità, sicchè la collaborazione si ripercuote come un boomerang su tutta l’associazione, e specialmente sulle frange ‘vincenti’ o egemoni”.
Nel Distretto della Corte d’Appello di Lecce convivono e operano diversi clan appartenenti alla galassia della SCU. Questo è il risultato della progressiva trasformazione della Sacra Corona Unita “da organizzazione tendenzialmente verticistica ad organizzazione reticolare”, all’interno della quale sono frequenti, soprattutto per effetto dell’azione di contrasto condotta efficacemente dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce e dalle Forze di Polizia operanti sul territorio, passaggi da un gruppo a un altro e la riorganizzazione dei gruppi, al fine di conservare il controllo delle attività criminose sul territorio.
L’indagine denominata “Twilight” ha consentito di scoprire una solida organizzazione criminale dedita all’usura e alle estorsioni nei comuni di Trepuzzi, Surbo e Nardò. Un imprenditore, da indagato, ha scelto di collaborare con la magistratura. Le sue dichiarazioni hanno fatto luce sul ‘mercato dell’usura’ a Lecce e provincia, permettendo di smascherare “collegamenti, connivenze e collaborazioni, anche con circuiti bancari asserviti al sistema”.
Questa indagine, iniziata nel 2011, si è concretizzata con una richiesta di custodia cautelare ed evidenzia la convivenza nello stesso “bacino di utenza” di più consorterie mafiose, “in virtù di una pax mafiosa”. Emergono, inoltre, tutte le attuali caratteristiche della Sacra Corona Unita che mira al controllo di rilevanti settori economici, come è stato appurato nel dicembre 2015 con la sentenza in abbreviato emessa contro i più importanti esponenti del clan Padovano di Gallipoli che cercavano di riorganizzare “il sodalizio attraverso una vera e propria saldatura con il clan Tornese ed aveva incentrato i propri interessi sulla gestione dei parcheggi e della security agli stabilimenti balneari, alle discoteche e ad altre attività commerciali e imprenditoriali della zona, mediante l’imposizione dell’assunzione di personale di imprese controllate dal clan”.
Emblematica dell’evoluzione in atto nel mondo criminale è l’esistenza di vere e proprie “holdings” criminose, all’interno delle quali, “i gruppi storicamente egemoni sul territorio appaltano, per così dire, gli affari illeciti tradizionali a gruppi loro alleati, dai quali percepiscono una parte di proventi sotto forma di ‘punto’ sulle attività da essi svolte”. 
Per quanto riguarda gli assetti interni, i gruppi mafiosi mantengono le caratteristiche storiche della Sacra Corona Unita, “sia per la necessità della divisione di compiti e ruoli e la rigorosa gerarchia di questi ultimi, sia per la finalità di intimidazione interna, attuata proprio attraverso la ripartizione dei ruoli, il rispetto delle regole e la previsione di sanzioni per la violazione di esse. In questa prospettiva, si colloca anche la ripresa della ritualità delle affiliazioni, già segnalata nella relazione dello scorso anno, con la vecchia liturgia ed il rispetto delle vecchie regole (anche di quella della giornata di sabato destinata al rito del ‘movimento’), verosimilmente conseguente all’esigenza di rafforzare un vincolo che diversamente sarebbe assai tenue per la mancanza di una ‘storia’ comune, che invece aveva indotto i ‘vecchi’ ad abbandonare la ritualità, ritenendola superflua oltre che rischiosa perché agevolava l’accertamento giudiziario”. Si conferma l’esistenza di forti legami tra leccesi e brindisini e lo scambio di informazioni che avviene anche con i detenuti. Tutto ciò dimostra la piena operatività della SCU.


La distribuzione territoriale dei gruppi appartenenti alla Sacra Corona Unita
Per quanto riguarda la distribuzione territoriale dei gruppi appartenenti alla Sacra Corona Unita, la Direzione Nazionale Antimafia precisa che a Lecce la situazione sembra essersi stabilizzata rispetto a quanto accertato nella sentenza del processo “Eclissi” emessa dal GIP di Lecce il 5 luglio 2016. In questo procedimento, sono stati condannati sessantasei imputati che avevano chiesto il rito abbreviato, ventidue dei quali anche per partecipazione ad associazione mafiosa.  
La sentenza è molto importante perché ha espresso un ulteriore giudizio di attendibilità sul collaboratore di giustizia Gioele Greco che ha raccontato dettagliatamente l’evolversi dei rapporti tra il gruppo di Roberto Nisi e quello di Pasquale Briganti e il consolidarsi dei clan facenti capo a Cristian Pepe e ai fratelli De Matteis (sino al momento della collaborazione di Greco, cominciata nell’aprile del 2015).
Malgrado siano stati colpiti da numerosi arresti e da sentenze di condanna, i sodalizi capeggiati da Pasquale Briganti detto Maurizio, Cristian Pepe e Antonio Marco Penza (quest’ultimo storicamente legato al clan dei Vernel di Andrea Leo, di Vernole e dintorni) sembrano ancora attivi sul territorio, soprattutto nel settore degli stupefacenti, delle estorsioni e dell’usura e hanno deciso di evitare ogni forma di conflitto. Questi clan sono collegati ad altri del territorio brindisino e con quello di Monteroni soprattutto nel settore delle sostanze stupefacenti.
In provincia di Lecce si sono riorganizzati i clan del sud Salento, in particolar modo nelle aree di Casarano, Parabita, Matino ed Ugento. A Parabita e a Matino, nel dicembre 2015, è stata eseguita un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal GIP di Lecce, nei confronti dei più importanti esponenti dello storico clan Giannelli accusati di associazione mafiosa e di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti. Tra gli arrestati spiccano i nomi di Marco Giannelli, figlio di Luigi, capo storico del clan, artefice della riorganizzazione del sodalizio e Vincenzo Costa, da sempre ritenuto il capozona di Matino per conto del medesimo clan. Particolarmente significativo è stato l’arresto di Giuseppe Provenzano, già Vicesindaco di Parabita, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e per favoritismi a esponenti di spicco del clan, “a riprova della già evidenziata attenzione di tutte le organizzazioni operanti nel distretto ai rapporti con le amministrazioni pubbliche e con i rappresentanti del mondo politico”, scrivono i Magistrati dell’Antimafia.
Per quanto concerne Squinzano, Campi Salentina e comuni limitrofi, il 23 giugno 2016 è stata emessa una dura sentenza di condanna nei confronti di cinquantacinque persone nel processo denominato “Vortice”, celebrato con rito abbreviato e che ha riguardato sessantacinque indagati. “Tra loro vi sono Sergio Notaro, Patrizio Pellegrino e Antonio Pellegrino condannati per appartenenza alla Sacra Corona Unita a conferma, anche in questo caso, delle risultanze di indagine, indicative della persistente attività sul territorio della predetta organizzazione di tipo mafioso”.
A Galatina è attivo il clan mafioso capeggiato dai fratelli Coluccia che ha ormai allungato le mani in diversi settori economici, pretendendo “il punto” sulle attività tipicamente illecite, come il traffico di stupefacenti delegato ad alleati quali il gruppo di Vincenzo Cianci nella zona di Galatina e Sogliano Cavour.
Nella provincia di Brindisi, si è verificato un progressivo quanto ineludibile ricambio all’interno delle strutture di vertice della Sacra Corona Unita, dovuto non solo a motivi anagrafici ma anche al passaggio in giudicato di pene detentive severe a carico di capi e promotori dell’associazione. Sono stati infatti condannati all’ergastolo Carlo Gagliardi (insieme ad Antonio Campana) per l’omicidio di Massimo Delle Grottaglie e a ventisei anni di reclusione Daniele Vicientino nel processo denominato “Calipso”.
La gravità delle pene porta a pensare che sarà molto difficile per i capi storici dell’organizzazione tornare a ricoprire un ruolo effettivo al suo interno. Dalle più recenti indagini della Direzione Distrettuale Antimafia è emersa l’ambizione degli affiliati più giovani di prendere il posto dei capi storici della SCU.
Si può quindi affermare che sulla base delle indagini svolte nel periodo 1 luglio 2015-30 giugno 2016, analizzato nella relazione della Direzione Nazionale Antimafia, “gli assetti attuali della criminalità organizzata brindisina appaiono in parte modificati rispetto al recente passato”. Pur se ancora individuabile, sembra perdere di significato la storica distinzione esistente fin dal 1998 tra la frangia mesagnese capeggiata da Antonio Vitale, Massimo Pasimeni e Daniele Vicientino e quella tuturanese facente capo allo storico fondatore Giuseppe Rogoli, a Salvatore Buccarella e da ultimo a Francesco Campana. La frangia mesagnese è stata indebolita dalle collaborazioni dei suoi massimi esponenti seguite a quella di Ercole Penna, mentre l’immagine di Francesco Campana, comunque riconosciuto come capo e punto di riferimento attuale dell’intera associazione, è stata duramente colpita dalla scelta di collaborare con la giustizia compiuta da suo fratello Sandro. Malgrado abbia preso subito le distanze dal fratello e l’abbia disconosciuto durante una pubblica udienza, il prestigio criminale di Francesco Campana e la sua indiscussa autorità in seno alla SCU sono stati pesantemente scalfiti dall’eclatante decisione del fratello.
Resta comunque attuale la classica divisione geografica che vede in linea di massima il gruppo dei mesagnesi influente soprattutto nella zona settentrionale ed occidentale della provincia (in particolare Carovigno, Ostuni, Francavilla Fontana, oltre che Mesagne), mentre il gruppo tuturanese è attivo nella parte meridionale della provincia (in particolare Cellino San Marco, San Pietro Vernotico e Torchiarolo), allungando i suoi tentacoli fino alla zona settentrionale della provincia di Lecce. Nulla è cambiato rispetto al passato nella città di Brindisi dove “le attività criminali sono invece oggetto di equa ripartizione”.
Le altre famiglie storiche della Sacra Corona Unita, quella dei Bruno e quella dei Brandi, pur rimanendo indipendenti nel corso degli anni dalle due fazioni principali, sono state pesantemente indebolite nella loro forza criminale sia dalle dure condanne subite, sia per motivi anagrafici.
Nella provincia di Taranto solo la parte al confine con la provincia di Brindisi è interessata dalla presenza di gruppi storicamente legati alla SCU.
La criminalità tarantina, negli ultimi anni, è stata duramente colpita da numerosi interventi repressivi condotti in sinergia tra polizia giudiziaria e pubblico ministero. Sono stati decimati vari clan che “prepotentemente tendevano ad impadronirsi del controllo del territorio”.
Di conseguenza, altri gruppi criminali operanti sul territorio hanno cercato di colmare il vuoto di potere creatosi nei clan mafiosi, “tentando di costituire nuovi assetti delinquenziali nei territori precedentemente controllati e ormai sgombri da dinamiche criminali”.
Nell’ottobre 2014, l’operazione di polizia denominata “Alias” ha portato all’esecuzione di una cinquantina di ordinanze di custodia cautelare emesse dal GIP distrettuale in seguito alle indagini della Squadra Mobile di Taranto che hanno appurato “la piena operatività nel territorio cittadino di un’associazione con chiare connotazioni di mafiosità facente capo a due esponenti storici della criminalità mafiosa tarantina, quali Nicola De Vitis e Orlando D’Oronzo”. Nel febbraio 2016, nel processo celebrato con il rito abbreviato per molti dei più importanti imputati, il GIP di Lecce ha condiviso in pieno l’impostazione accusatoria, riconoscendo la natura mafiosa dell’associazione. Per il resto degli imputati, in numero decisamente inferiore, si sta celebrando il processo davanti alla seconda sezione penale del Tribunale di Taranto.
Molto importante è la confisca disposta dal Tribunale di Taranto nell’agosto 2016 di una serie di beni riconducibili a esponenti del clan De Vitis-D’Oronzo.
“Particolarmente rilevante la circostanza, emersa all’esito delle indagini, che il sodalizio criminoso avesse assunto il controllo – tramite un politico tarantino (Fabrizio Pomes, arrestato per il delitto di concorso esterno in associazione di tipo mafioso) che aveva appositamente creato delle cooperative di fatto riconducibili all’associazione – di un circolo sportivo cittadino denominato ‘Magna Grecia’, di proprietà del Comune di Taranto e affidato in gestione proprio a tali cooperative. Le indagini hanno anche consentito di verificare una sorta di ‘indifferenza’ da parte di esponenti del Comune a che tale importante struttura di proprietà comunale fosse di fatto controllata da un gruppo mafioso”, si legge nella relazione.
Anche gli esponenti di un altro clan mafioso sono stati processati e condannati con rito abbreviato. Si tratta di un sodalizio attivo nei territori di Crispiano, Lizzano e Torricella, capeggiato da un boss molto noto nella storia criminale di Taranto e della sua provincia. Parliamo di Francesco Locorotondo, soprannominato “Scarpa long” o “Scarpa gross” o “u’ Caprar”, quest’ultimo soprannome legato alla sua attività di pastore. Questo sodalizio era dedito a molteplici attività delittuose, soprattutto al traffico di sostanze stupefacenti (vi è stata condanna anche per il delitto di associazione per delinquere finalizzata al traffico di tali sostanze), alle estorsioni e in generale al controllo di tutte le attività presenti nel territorio in questione. 
“Va evidenziato che il gruppo in questione presentava caratteristiche mafiose quasi ‘arcaiche’, con riti di affiliazione, ‘diritto di parola’ in relazione alla ‘dote’ di ciascun affiliato, rigido rapporto gerarchico e clima di intimidazione assai diffuso anche all’interno, tanto che gli affiliati ‘temevano’ l’incontro con gli esponenti di maggiore spessore criminale e con ‘dote’ più elevata.
È doveroso sottolineare che l’instabilità degli equilibri criminali in Provincia di Taranto ha causato due omicidi. Il primo si è verificato nel maggio 2016, quando è stato assassinato Mario Reale, pregiudicato di 54 anni conosciuto per l’attività di spaccio di sostanze stupefacenti. Il secondo nel luglio 2016 nel territorio di Pulsano dove è stato ucciso Francesco Galeandro.
“Tali fatti evidenziano come, nonostante i risultati derivanti dall’attività investigativa e repressiva, il territorio tarantino, anche a causa della grave crisi economica opprimente, acuita dalla nota crisi del settore siderurgico, sia territorio di instabili equilibri ed oggetto di penetrazione di gruppi criminali sempre più agguerriti e spietati”, puntualizzano i Magistrati dell’Antimafia.


Settori di operatività
Per quanto riguarda i settori di operatività, il mercato degli stupefacenti rappresenta sicuramente la fonte principale degli introiti della Sacra Corona Unita per la sua elevata rimuneratività. Il traffico delle sostanze proibite sembra, infatti, in continua crescita, di pari passo con l’aumento dei consumatori. Si ha l’impressione che l’azione di contrasto attuata energicamente dalle Forze di Polizia e dalla Magistratura “equivalga al tentativo di svuotare il mare con un secchiello”, scrivono i Magistrati dell’Antimafia ricorrendo ad un’espressione forte per sottolineare l’enormità del problema.
Considerato il gran numero delle persone coinvolte, i gruppi della SCU preferiscono controllare direttamente solo le forniture di grossi quantitativi di stupefacente, mentre la distribuzione “al minuto” è lasciata a individui o gruppi di individui che possono anche essere esterni all’organizzazione mafiosa, purché versino nelle sue casse il cosiddetto “punto” sui guadagni realizzati grazie all’attività di spaccio, “ricevendone in cambio assistenza per garantire il puntuale e corretto pagamento dei debiti”.  
Tra le sostanze stupefacenti la cocaina è quella più venduta con massimo profitto. Il mercato dei suoi consumatori è in continua espansione ed è in ripresa anche il mercato dell’eroina dopo una fase di calo.
La vera novità di questo sempre florido settore per le organizzazioni criminali è però rappresentata dal notevole incremento del traffico di marijuana che arriva dall’Albania. Ben dieci tonnellate sono state sequestrate tra la metà di agosto e la metà di ottobre 2016. Lo stupefacente, trasportato in grossi quantitativi (centinaia di chili alla volta), arriva sulle coste salentine a bordo di gommoni ed altre piccole imbarcazioni da diporto attraverso il Canale d’Otranto, frequentemente con l’aiuto di esponenti della criminalità mafiosa brindisina. Infatti, nonostante in alcuni casi il traffico sia gestito in forma autonoma da cittadini albanesi residenti stabilmente in Italia di comune accordo con i connazionali abitanti in Albania, da alcune conversazioni intercettate è risultato come la maggior parte delle volte sia necessario rivolgersi ai brindisini o anche ai leccesi per poter entrare in contatto con i trafficanti albanesi: “Una sorta di intervento dei salentini a garanzia nei confronti degli albanesi della serietà e solvibilità degli acquirenti”.
Grazie ai buoni rapporti tradizionalmente esistenti tra ‘ndrangheta e Sacra Corona Unita, restano aperti i canali di rifornimento delle altre sostanze stupefacenti, soprattutto per l’approvvigionamento di cocaina. 
L’indagine denominata “Oceano” ha fatto emergere i rapporti esistenti tra la criminalità locale e gruppi di etnia albanese per il rifornimento di eroina. In questo procedimento penale, sono stati sequestrati, a più riprese, significativi quantitativi di sostanza stupefacente con contestuale arresto in flagranza dei corrieri.   
Le varie indagini, concluse o ancora in corso, hanno appurato “frequenti rapporti tra cosche calabresi e gruppi locali che si rinsaldano e recuperano nuova linfa, in particolare attraverso compravendite di sostanze stupefacenti e di armi”.
Nel processo “Trisolini+9” è stato accertato che il canale olandese è sempre molto praticato dai clan locali per rifornirsi di cocaina. I dieci imputati, in parte di Oria e in parte di Torchiarolo, importavano mensilmente nella provincia brindisina circa 40 chili di cocaina.
“Lo stupefacente veniva acquistato in Olanda, trasportato in Oria e qui diviso tra spacciatori oritani e di Torchiarolo che ne curavano la vendita al minuto. Nel corso delle indagini è stato sequestrato non solo uno dei carichi, ammontante appunto a poco meno di quaranta chilogrammi di cocaina, ma – dato più rilevante – è stata successivamente sequestrata la somma di ben 402.900 euro in contanti e cioè dell’intera cassa dell’organizzazione (a riprova della grande redditività del commercio di cocaina)”. Il 22 novembre 2016, il GUP presso il Tribunale di Lecce ha condannato tutti gli imputati a pesanti pene detentive.
La crisi economica ha fatto crescere l’usura mafiosa, quella praticata facendo leva sulla forza di intimidazione dell’associazione, a cui si affianca l’attività di recupero crediti da debitori riottosi, praticata sempre sfruttando la capacità intimidatoria.
Questo è quanto emerso nel già citato processo “Twilight” nel quale “sono state accertate le modalità di svolgimento di tale attività criminosa e, circostanza ancora più significativa, è stato verificato il coinvolgimento di dipendenti infedeli di istituti bancari che hanno prima procurato i clienti agli usurai e, successivamente, si sono adoperati per impedire che, attraverso le segnalazioni di operazioni sospette, potesse emergere l’illecita attività posta in essere dai gruppi mafiosi che la esercitavano”.
Un altro elemento di novità è rappresentato dalla scoperta di un’organizzazione dedita al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, composta soprattutto da individui appartenenti ad ambienti del contrabbando brindisino e operativa soprattutto in Italia e Grecia ma anche in Albania, Montenegro ed altre nazioni.
L’immigrazione clandestina, comunque, non sembra interessare le organizzazioni mafiose salentine, anche se un’importante indagine ha evidenziato che alcuni brindisini, in passato coinvolti in attività di contrabbando di tabacchi lavorati esteri, hanno creato un’organizzazione transnazionale che, tra le varie attività, “offre il ‘servizio’ del trasferimento di ristretti gruppi di migranti sulle coste salentine”. I proventi di questa attività sono riciclati all’estero.


Il condizionamento della società civile e sue conseguenze
Duro il monito della Direzione Nazionale Antimafia sul condizionamento della collettività civile e sulle sue conseguenze. Lo riporto integralmente per la sua fondamentale importanza: «In tutte le realtà territoriali la percezione del controllo del territorio da parte dei gruppi mafiosi determina, nonostante i risultati conseguiti nel contrasto a tali organizzazioni, un atteggiamento di complessiva omertà nella collettività civile e di scarsa collaborazione da parte di molte vittime di condotte intimidatorie e violente. Nel distretto di Lecce si devono, invece, cogliere i segnali di un’allarmante modifica del rapporto della società civile con la criminalità mafiosa, cui consegue una crescente sottovalutazione della pericolosità di tali organizzazioni che determina la caduta verticale della riprovazione sociale nei confronti del fenomeno, con conseguente utilizzazione dei ‘servizi’ offerti dalle organizzazioni criminali o dai singoli associati.
È stato, infatti, accertato attraverso le indagini sviluppate nel distretto e mediante dichiarazioni di collaboratori della giustizia di particolare rilevanza che il ruolo della criminalità organizzata appare enfatizzato dalla crisi economica, a causa della quale si sono aperti per le organizzazioni in parola nuovi spazi di intervento, avendo le stesse assunto un ruolo di interlocuzione con la società civile, segnale di un conseguito consenso sociale o, comunque, di un’accettazione e condivisione di logiche criminali e mafiose, con conseguente legittimazione per i clan, abbassamento della soglia di legalità e, nella sostanza, il riconoscimento di un loro ruolo nel regolare i rapporti nella società civile in una prospettiva della loro definitiva sostituzione agli organi istituzionali dello Stato. I segnali che si colgono da quanto sopra esposto sono preoccupanti e devono essere raccolti e contrastati con un sinergico impegno della società civile e politica con la Magistratura e le Forze dell’ordine per invertire una tendenza che appare veramente allarmante soprattutto nel momento storico attuale nel quale l’espansione turistica dell’intera Puglia e il benessere che ne deriva potrebbe essere inquinata e frenata dai fenomeni criminali di cui si è parlato, con conseguenze disastrose per l’intera collettività".

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