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mercoledì 22 novembre 2017

No al fascismo a Torino, Milano, Reggio.... E a Lecce quando?

 In presenza di rigurgiti fascisti, xenofobi e razzisti, molti Comuni italiani si rifanno alla Carta costituzionale e ai principi che dovrebbero regolamentare le scelte della Repubblica “nata dalla Resistenza”.

« È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista.
In deroga all’articolo 48, sono stabilite con legge, per non oltre un quinquennio dall’entrata in vigore della Costituzione, limitazioni temporanee al diritto di voto e alla eleggibilità per i capi responsabili del regime fascista.
(XII disposizione transitoria, Costituzione della Repubblica Italiana) »

Negli ultimi tempi purtroppo le manifestazioni con saluti romani, urla di “duce duce” (successe durante una visita di Salvini a Lecce), l’imbrattamento di targhe di antifascisti, l’immagine di Anna Frank utilizzata dai fascisti laziali, e altre amenità simili, assieme e contestualmente ad atti e proclami dichiaramente razzisti, xenofobi, antidemocratici, hanno caratterizzato la quotidianità ovunque in Italia e in Europa.
Per contrastare almeno in parte questi fenomeni, è intervenuta anche la legge Fiano, votata a maggioranza alla Camera ed ora in Senato per approvazione (hanno votato contro i cinque stelle sostenendo che è misua inutile, bontà loro), e che dice:

«Chiunque propaganda le immagini o i contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco, ovvero delle relative ideologie, anche solo attraverso la produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni raffiguranti persone, immagini o simboli a essi chiaramente riferiti, ovvero ne richiama pubblicamente la simbologia o la gestualità è punito con la reclusione da sei mesi a due anni. La pena di cui al primo comma è aumentata di un terzo se il fatto è commesso attraverso strumenti telematici o informatici»  (Fonte: Il post)

Molti Comuni si sono adeguati a queste scelte vietando la concessione di spazi pubblici a partiti, enti, associazioni che non si dichiarino contro il fascismo e che si impegnino all’osservanza della carta costituzionale.
Fra i Comuni interessati da queste normative citiamo: Torino, Reggio, Milano.

Auspichiamo che tali scelte vengano assunte in tutte le città italiane e che si prendano nettamente  le distanze da chi evoca il fascismo, l’intolleranza e la xenofobia come valori. 

domenica 19 novembre 2017

19 novembre 1961 muore Gino Girolimoni, il mostro di Roma

Ph: radio24
Gino Girolimoni ( Roma, 1 ottobre 1889 – Roma 19 novembre 1961) fu un fotografo romano. Il suo nome divenne per lunghissimi anni sinonimo di pedofilo. “Quello è un Girolimoni” si sentiva dire, a volte ancora si sente, soprattutto dagli anziani che hanno memoria degli eventi, quanto meno della loro eco.
I fatti dicono di Roma,  dello stupro di sette bambine e l'assassinio di cinque di loro, nel 1924. E raccontano della fibrillazione della polizia che, incalzata dallo stesso Mussolini che convocò il capo della polizia per procedere urgentemente a risolvere il caso. Secondo il dittatore, l’Italia non doveva fare figuracce a livello internazionale ed occorreva “a qualunque costo” trovare un colpevole.
Le indagini furono affrettate e raffazzonate, a fronte di testimonianze che descrivevano un individuo alto, con i baffi, ben vestito, i poliziotti fermarono storpi, dementi, invalidi. Un vetturino, colpito da sospetti, si suicidò per l’onta subita. Finchè non venne arrestato Gino Girolimoni con boatos mediatici incredibili che, nonostante il processo lo prosciolse da ogni accusa per discordanze con le testimonianze, e nonostante molte prove, si saprà dopo, vennero fabbricate ad arte per compiacere il dittatore, per tutta la vita venne bollato come “il mostro di Roma” passando come tale nell’immaginario collettivo. Da annotare che anche il criminalista Samuele Ottolenghi, seguace del Lombroso, ravvisò nel volto pacato del Girolimoni i tratti del criminale.
Fu l’investigatore Giuseppe Dosi che, da sempre convinto dell’innocenza di Gino, proseguì le indagini fino a trovare una pista alternativa. Scoprì infatti che un pastore protestante , l’inglese Ralph Lyonel Brydges, già sospettato per violenza carnale, poteva essere il colpevole, prove furono trovate nella cabina della nave in cui alloggiava. L’accusa non procederà oltre perché i rapporti diplomatici con la Gran Bretagna avrebbero potuto risentirne.
Fatto sta che nessun colpevole verrà mai trovato.
Girolimoni, perso il lavoro e la possibilità di trovarne altri, vivrà una vita precaria, con piccoli lavoretti, fino al 19 novembre 1961, al suo funerale parteciparono pochissime persone, fra queste l’investigatore Dosi.